
Bes: un indice per misurare il benessere Equo e Sostenibile della società
Fare i conti con il benessere e non solo con i dati strettamente economici di mercato? È quello che accade grazie a un rapporto che l’Istat ha recentemente presentato, per la quarta volta nel giro di pochi anni, e che mette sotto la lente il Benessere Equo e Sostenibile, in sigla Bes.
Si tratta di un passo suggerito sicuramente dal vivace dibattito che ha messo (già nel corso degli anni passati) sotto accusa il Prodotto Interno Lordo (Pil) e la sua incapacità di ritrarre la complessità, partendo da una considerazione semplice: un simile indice, che misura il “valore di mercato di beni e servizi prodotti”, è facile che lasci fuori molte altre dimensioni che pur concorrono a creare “valore”, anche se non di mercato.
Va detto anche, a onor di cronaca, che il Bes ha sue specifiche finalità. Istat e Cnel lo hanno pensato per contribuire a testare l’efficacia delle politiche pubbliche attraverso i loro effetti sugli indicatori di benessere. Uno scopo decisamente ambizioso e perseguito attraverso la misurazione di ben 130 indicatori articolati in 12 sottoinsiemi che vanno dalla salute all’istruzione e formazione per proseguire con lavoro, conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione e qualità dei servizi.
Da qualsiasi angolazione lo si guardi, è evidente che il Benessere Equo e Sostenibile chiama in causa profit e non profit alla stessa maniera, prendendo il polso della situazione –ad esempio – tanto al fattore lavoro e occupazione quanto alle relazioni sociali e agli aspetti di conciliazione.
Se guardiamo poi alla fotografia scattata, emerge un quadro di luci e ombre. La soddisfazione per le relazioni interpersonali è molto bassa nel nostro Paese e solo due persone di 16 anni e più su dieci esprimono un’elevata soddisfazione (tra 9 e 10) per i rapporti personali con parenti, amici e colleghi (17 punti percentuali in meno della media Europea). Dall’altra parte è però positivo il dato che riguarda la possibilità di ricevere sostegno o aiuto dalla rete parentale e amicale, così infatti ha dichiarato l’85,6% della popolazione. Tra il 2015 e il 2016 si conferma stabile (al 24,1%) la quota di persone che dichiarano di aver svolto attività di partecipazione sociale come pure altri indicatori relativi al sistema delle reti informali; ad esempio la quota di popolazione che dichiara di poter contare sulla propria rete potenziale di aiuto (81,7%), di avere finanziato associazioni (14,8%), di avere svolto attività di volontariato (10,7%).
Dati questi che rivelano come, nel nostro Paese, ci sia un solido tessuto fatto di solidarietà, reti e relazioni che è di per sè un patrimonio che va ben al di là del “valore di mercato”.